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Un’estate ad Angamarca

Il sole continua a scaldare e penso a quante altre storie ci sarebbero da raccontare.

Oggi fa caldo. C’e’ un po’ di vento, ma non troppo come dicono ci sarà il prossimo mese. La giornata inizia con la notizia che, nella notte, è  bruciata una casa in una comunità e la numerosa famiglia che ci viveva ha perso tutto, restano solo i vestiti che indossavano. Un fuoco spento male, la mamma è andata con i bambini piccoli a visitare un defunto e al ritorno si è ritrovata con sole quattro pareti spoglie. Oggi è passato un mese da quando un bambino di 9 anni è morto in un’altra comunità. Un bambino allegro, dispettoso, furbo, un bambino che, a pochi mesi di vita, era stato abbandonato dalla madre e salvato da un’infermiera dell’ospedale di Zumbahua.

Oggi vado a visitare due vecchiette che vivono vicino al pueblo, vicino per me che ho gambe giovani e forti. Quando arrivo Dorilla sta rompendo la legna con il machete. Fatica a camminare, ma ha forza nelle braccia abituate da una vita a zappare, arare, seminare e raccogliere. Mani abituate ad unirsi e pregare che “Diosito lindo” mandi pioggia o sole a seconda della stagione. Mi indica una panchetta di legno dove sedermi, non prima di averci messo sopra un sacco caso mai ci fosse sporco. Cucina sul fuoco, la aiuto ad accenderlo, fa fatica con i fiammiferi che le ho portato, ha poca carta e la legna non è abbastanza sottile. Strappo alcune pagine dal mio quaderno e finalmente la fiamma si alimenta.

Chiacchiera volentieri Dorilla, parla di sua nipote che vive in Spagna e mi chiede quanto costa il passaggio per andarci. Come sempre il fumo mi entra negli occhi e mi fa lacrimare. Lei dice che da un occhio non ci vede, parla di suo marito – il secondo – morto un anno fa e mi dice di tornare la settimana prossima che il choclo sarà maturo e me lo regalerà per cucinare le humitas. Parla sempre di sua zia Florinda, un’anziana di quasi cent’anni che vive poco sopra casa sua, la va a visitare sempre quando può. Quando piove non ce la fa ad uscire di casa. Il sentiero fangoso che, dalla piazza di Angamarca sale a casa sua, è impercorribile con il suo palito.

Il cane dorme tranquillo nel cortile di terra, quando arrivo mi fa sempre le feste. Avrò preso da lui le pulci? Il riso è pronto e l’uovo anche. Le pentole sono tutte annerite dal fumo così come le pareti della “cucina”. Pranziamo in piatti che contraddicono le più basilari norme igieniche, ma il cibo è buono. Prima di andarmene le faccio un’iniezione di antidolorifico per le gambe che le fanno male. L’ultima volta le avevo lasciato anche delle vitamine, ma dice che nelle uova delle sue galline di vitamine ce ne sono di più.

Proseguo le visite e vado da sua zia Florinda. Quando arrivo eè quasi mezzogiorno, il sole eèancora più caldo e c’è poco vento. Oggi Florinda si è “bagnata” e adesso si sta pettinando. Ha i capelli lunghi, se li raccoglie in due trecce e si mette una berretta tutta colorata, perché il classico sombrero volerebbe via.

Arriva la figlia che era andata a lavare i vestiti. Ha piu’ di cinquant’anni ed e’ “tontita”, come dicono qui, cioè ha una disabilita’ mentale, nel suo caso non parla. Ma la mamma la capisce molto bene! E la manda a comprare poche cose al pueblo. Racconta che una volta è tornata senza soldi e senza aver comprato niente. Le scarpe non le portano mai, Florinda non riesce a muoversi da casa, hanno un campo dove coltivano habas e choclo (fave e mais), ma il choclo mama’ Florinda non riesce a mangiarlo perché è senza denti. Ma la sua preoccupazione maggiore è che ne sarà di sua figlia quando lei morirà.

Ritorno ad Angamarca. Mi aspettano altri pazienti nel pomeriggio, una medicazione a domicilio. Le giornate passano tutte abbastanza in fretta. Il sole continua a scaldare e penso a quante altre storie ci sarebbero da raccontare.

Ester Tirloni, volontaria IBO in Servizio Civile in Ecuador

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