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Le piccole impronte che sto lasciando in Perù

 Il mio augurio è di lasciare una piccola impronta, una piccola parte di me in ciascuno di questi bambini, come loro stanno facendo inconsapevolmente con me.

Un inizio difficile

All’inizio è stato difficile: entrando in un campo sconosciuto e dovendo confrontarmi con la mia impreparazione mi sono sentita spesso frustrata. Piano piano, però, ho familiarizzato con le richieste che mi venivano rivolte e con gli strumenti adatti per offrire, a queste, delle risposte. Con il tempo ho acquisito consapevolezza del mio ruolo e questo, ora, mi permette di muovermi con sicurezza nell’ambiente, di capire dove c’è una necessità e di rendermi presente, non solo come “spalla” della psicologa, ma come volontaria, svolgendo così le attività più varie a seconda delle esigenze.

Ho imparato a riconoscere il contributo che ogni giorno do, senza eroismi né pretese, ritrovando in esso  la motivazione principale: l’interesse che ho per questi bambini e il desiderio di ritagliarmi con loro momenti di felicità.

Il contrario di facile

Vivere 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con i bambini all’interno del Puericultorio non è facile. È il contrario di facile. Significa vivere tutto di loro: entrare nei loro momenti “no” ed essere il bersaglio delle loro questioni personali e familiari irrisolte. Ognuno di loro ha un mondo dentro, fatto di abbandoni, perdite, lutti e rifiuti che non sanno gestire. Molto spesso sono vittime dell’egoismo dei genitori che li abbandonano per rifarsi altre famiglie. Le scarse possibilità economiche non permettono ai genitori, a malincuore, di prendersi adeguatamente cura di loro. In ogni caso c’è un’lontananza di cui questi bambini  soffrono e che genera una ferita che, ancora viva, a volte pulsa.

Sono ragazzi, bambini, che sono sopravvissuti a dolori inimmaginabili, sviluppando una gran forza ed  energia. Alla ricerca di amore e di allegria, ti coinvolgono in balli, giochi, vogliono la tua compagnia, ti allietano con uno humor sveglio e gradevole, ridono alle tue battute, ti chiamano “mami”. Ma a volte, ti tirano su un muro o si indispettiscono con poco o diventano troppo esigenti e ad un tuo fermo, ma delicato rifuto si arrabbiano o possono arrivare ad offendere. I primi momenti sono quelli che mi ripagano poi dei secondi, perchè a volte l’intento di alcune frasi sembra andare nella direzione di farti sentire ferita o colpevole. Sentimenti che molti di loro, nutrono in se stessi.

Leggere o fare i compiti con loro, ridere insieme delle stesse sciocchezze, sentire che chiamano il tuo nome da lontano solo perchè, una volta girata, loro possano salutarti, gli abbracci genuini ripagano di tutto e cancellano qualsiasi amarezza possa nascere.

Imparare a conoscerli

Madre Miriam, la direttora del Puericultorio, ha lavorato nell’Istituzione durante gli anni ’80, gli anni del terrorismo. A volte ci siamo soffermate a pensare a quel periodo e, attraverso le sue parole, ho ricostruito un Puericultorio diverso, più popolato in cui i bambini, tutti orfani, erano meno viziati pur ricevendo tutto ciò di cui avevano bisogno. I bambini di questa generazione soffrono della stessa crisi che purtroppo si sta vivendo in Europea: una crisi della famiglia. Genitori che non riescono ad assumersi le responsabilità, padri che si costruiscono altre relazioni, madri che si sentono più donne che madri. Da questa crisi i bambini vengono travolti e possono sviluppare rancore, se non depressione.

Ho imparato a conoscerli, a riconoscere in ciascuno il proprio carattere e a sentirmi parte di una grande famiglia allegra, capace di fare circolare amore e che ricerca in qualsiasi occasione, una scusa per fare festa. Le emozioni più forti che ricordo sono quelle vissute durante le adozioni: il momento dell’arrivo dei neogenitori al Puericulturio per conoscere il nuovo membro della famiglia, il figlio che hanno tanto desiderato e aspettato e che finalmente possono abbracciare. È una gioia infinita che espressa dai genitori, ma anche dalle stesse parole dei piccoli, orgogliosi di dirti che vanno a casa con la loro mamma e papà.

Una parola conclusiva per Madre Miriam è d’obbligo, per tutto quello che sta facendo non solo per me, ma per tutti i volontari che arrivano alle porte di questa grande casa.  È una donna incredibile ed in questi mesi è stato un punto di riferimento importante. L’accoglienza umana che riserva ad ognuno è tangibile e commovente. Un motivo in più per dedicarsi con amore e motivazione al lavoro, in maniera costante e continua. Devo ammettere che, all’inizio, cercavo di soddisfare il mio bisogno di essere ascoltata e accolta, soprattutto al di fuori dell’Istituzione, attraverso amicizie esterne, forse per lasciarmi una possibilità di fuga dallo stress, che può derivare dal vivere in un ambiente “chiuso”.

Ora vivo il Puericultorio come una seconda casa e ho ritrovato in Madre Miriam una persona a cui potermi rivolgere nei momenti di difficoltà, di dubbi o di crisi.
Manca ancora del tempo alla fine di questo servizio civile ma, rispetto all’inizio, posso considerami felice di aver fatto delle piccole conquiste, soprattutto per quanto riguarda me stessa. Il mio augurio è di lasciare una piccola impronta, una piccola parte di me in ciascuno di questi bambini, come loro stanno facendo inconsapevolmente con me.

Valentina Lelli, volontaria IBO in Servizio Civile in Perù

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